Non ha bisogno di presentazioni Emanuele “Lele” Catania, fantasista oggi in forza alla Sicula Leonzio tra i giocatori più amati da tifosi e addetti ai lavori. Queste le sue parole a Goalsicilia.it.
Lele, parto con una domanda secca: se non avessi fatto il calciatore cosa avresti fatto?
“Credimi non ne ho idea (ride, ndr). Diciamo che da ragazzino non avevo la testa di adesso, tanto che ad un certo punto ho deciso di lasciare la scuola. Mio padre, giustamente, mi ha detto che se non avessi voluto studiare avrei dovuto darmi da fare e quindi cominciai a lavorare al mercato con lui. Dopo un po’ mi sono reso conto che forse era meglio riprendere a studiare (ride, ndr) così sono tornato a scuola e di fatto ho ricominciato anche a giocare a calcio”.
Insomma ti sei messo la testa a posto…
“Devo tantissimo a mia moglie. L’ho conosciuta 23 anni fa, quando avevo 15 anni e con lei diciamo che sono maturato”.
Hai iniziato a giocare con i ‘grandi’ nel 1999 al Palagonia in Promozione…
“C’era Ezio Raciti, che è un amico, in panchina e mi ha chiesto di andare con lui là. Praticamente giocavo solo la domenica, senza allenarmi in settimana, credimi era solo per divertirmi. Poi però la prima mezza svolta…”.
Cioè?
“Dopo un solo anno in Eccellenza, sempre tramite Raciti che conosceva il direttore Angelozzi che era a Viterbo andai là da classico siciliano piccolino che si sposta al Nord, perché per me Viterbo era già Nord (ride, ndr). C’era mister Puccica, la squadra in C1 era molto forte, ma dopo 10 giorni di ritiro tornai a casa perché non ce la facevo”.
Quindi mancata svolta…
“Sì e no. All’aeroporto trovai Raciti inaspettatamente che mi portò subito dal presidente Pulvirenti e quindi iniziò la mia carriera all’Acireale. Figurati quel giorno non ero manco tornato a casa, proprio tutto così all’improvviso”.
Acireale in C, poi Cosenza in B…
“Ero ancora un ragazzino, soprattutto di testa. È successo tutto in fretta, un’esperienza che non ho gestito per nulla bene. Ad Acireale, anche se in C, ero a casa quindi Cosenza significava ancora una volta cambiare vita. Ero molto leggero, in campo davo tutto ma fuori non ero proprio perfetto, diciamo così (ride, ndr). Giocavo poco, soffrivo la lontananza, così dopo sei mesi andai via al Paterno, quindi ancora vicino casa”.
Hai rimpianti?
“Proprio questo. Cioè se fossi stato al Cosenza con la testa che ho avuto dai 30 anni, la mia carriera probabilmente sarebbe stata diversa. Per carità, non mi posso affatto lamentare, ma chi lo sa”.
Cosa poteva cambiare?
“Proprio la mancanza di maturità ha influito. Da ‘grande’ se una domenica non giocavo, la settimana successiva magari mi impegnavo il triplo per mettermi in mostra. Là invece non giocavo e correvo ancora meno perché ‘tanto non giocherò mai’, ovviamente sbagliando”.
Avevi idoli?
“Mah ti dirò, quando sono andato all’Acireale e c’era gente come Orazio Russo o Bonanno avevo gli occhi a cuoricino (ride, ndr). Ero sempre un ragazzino che arrivava dalla Promozione”.
A 39 anni ti si legge in faccia in campo la stessa voglia di un 20enne…
“Per carità, come molti miei coetanei da qualche annetto il lavoro settimanale comincia a pesarmi ma la voglia di scendere in campo la domenica è ancora tantissima. Devo gestirmi bene, altrimenti finisce come a Catania”.
In che senso?
“Beh là per mettermi in mostra e guadagnarmi il posto andavo anche oltre i miei limiti, durante la settimana davo tutto e poi c’era il rischio che la domenica arrivassi sfiancato”.
Alla Sicula Leonzio di fatto una seconda giovinezza…
“Vivo anch’io questa sensazione. Mi mancava arrivare alla domenica con la consapevolezza di poter essere determinante. Poi quando sono arrivato e la situazione classifica era quasi disperata, quindi c’era anche quella voglia di dare tutto per tirarci fuori dalle sabbie mobili della zona retrocessione”.
Catanese, tifoso del Catania, finalmente la scorsa estate indossi la maglia rossazzurra…
“Una sensazione pazzesca. Sono cresciuto per la strade catanesi, per me il Catania era meglio del Real Madrid. Arrivarci a 38 anni è stata una bella soddisfazione, l’unico rammarico è il brutto infortunio che mi ha tenuto fuori per tre mesi. Mi ha distrutto perché stavo benissimo fisicamente ed è stato tra l’altro il primo brutto infortunio della carriera. Pazienza…”.
Cosa farà Lele Catania, tra 10 anni, quando appenderà le scarpe al chiodo?
“Credimi non lo so. Forse perché ancora la voglia di giocare è tanta quindi non ci penso. Mi piacerebbe rimanere nel mondo del calcio, ma non so in che ruolo. Sicuramente non voglio fare l’allenatore, questo te lo garantisco (ride, ndr)”.
Come mai?
“Non lo so, non mi ci vedo. Ovviamente mi riferisco ad allenare i grandi, con i ragazzini già è diverso”.
Quindi dirigente…
“Mi piacerebbe girare a vedere partite, anche di serie minori, perché ci sono tanti talenti siciliani che restano inespressi. D’estate magari capita di fare qualche partita con gli amici, ma non lo faccio da due/tre anni perché becchi squadre con ragazzi che non ti fanno vedere la palla. Poi chiedi dove giocano e ti rispondono Eccellenza o Promozione, allucinante. Gente con una tecnica impressionane”.
Torniamo un attimo indietro, le esperienza di Agrigento e Siracusa…
“Sono andato all’Akragas e si pensava che fossi il classico siciliano che torna giù per svernare. Invece abbiamo fatto benissimo, purtroppo poi il cambio societario ha rivoluzionato tutto. A Siracusa un’esperienza pazzesca, bellissima. Si era creata una famiglia, non eravamo più calciatori e mister, ma c’era una compattezza incredibile. A fine anno si diceva ‘la squadra è forte’, ma a luglio nessuno lo diceva (ride, ndr), il classico caso dove davvero il gruppo faceva la differenza”.
I tre allenatori più importanti della tua carriera?
“Sicuramente Mazzarri, all’Acireale, perché è quello che mi ha dato la possibilità di entrare in questo mondo. Anche mister Sottil ritengo molto importante. Infine non posso non citare Auteri, mamma mia Auteri (ride, ndr). Quando vedo le sue squadre, che spettacolo. Ha un carattere particolare, ma con lui ti diverti. Aspetta, ti diverti sul campo, durante la settimana ti massacra (ride, ndr). Figurati che un anno venne a giocare da noi Farias, reduce dall’esperienza al Foggia di Zeman, dicendo che Auteri faceva lavorare il triplo dello stesso Zeman (ride, ndr)”.
Invece i tre calciatori più forti con cui hai giocato…
“Per me Gigi Castaldo è un bomber stratosferico. A Taranto giocavo con un altro fenomeno, Andrea De Florio, che pur avendo 37 anni faceva cose che non ho mai rivisto fare a nessuno. Infine l’ex Milan e Torino Gigi Lentini, giocavo con lui ai tempi del Cosenza, credimi mostruoso, di un altro pianeta”.
Ultima domanda di attualità: si potrà ritornare a giocare per completare la stagione?
“Sono felice che questa decisione non spetta a me. Non lo so, ma è molto difficile”.