Sono trascorsi già 14 anni da quel maledetto 2 febbraio 2007, quel tragico venerdì in cui si stava disputando il derby di Sicilia tra Catania e Palermo e nel corso del quale perse la vita l’ispettore capo della Polizia di Stato Filippo Raciti, in servizio quella sera. L’agente è rimasto vittima durante gli incidenti scatenati da una frangia di ultras catanesi contro la Polizia, intervenuta per sedare i disordini durante la partita. Filippo Raciti si spense dopo tre quarti d’ora di agonia per arresto cardiaco, causato dallo spappolamento del fegato dovuto all’impatto con un corpo contundente. La partita, com’è giusto che sia, passò inevitabilmente in secondo piano: la gara doveva essere disputata il 4 di febbraio, ma a causa della concomitanza con la festa della santa patrona, Sant’Agata, fu anticipata a venerdì 2 febbraio.
I tifosi rosanero, per problemi organizzativi, arrivarono allo stadio soltanto dieci minuti dopo l’inizio del secondo tempo e i supporter catanesi tentarono di entrare in contatto con i rivali e lo fecero tramite uno scambio di lanci di petardi e fumogeni. La Polizia intervenne per sedare gli animi, nel frattempo sugli spalti gli spettatori assistevano alla gara ignari di quello che succedeva fuori dall’impianto, almeno fino a quando i poliziotti non lanciarono i lacrimogeni all’interno della Curva Nord, causando la fuga da parte dei tifosi che trovarono però i cancelli sbarrati, e la sospensione della gara per quaranta minuti da parte dell’arbitro Farina, per l’aria irrespirabile. Nel frattempo, una parte dei tifosi venne a contatto con la Polizia ed è lì che si consumò la tragedia vera e propria. Più di mille gli agenti coinvolti (per una partita di pallone!), alla fine il bilancio sarà anche di circa 150 feriti tra le forze dell’ordine e i civili.
Doveva essere una festa di sport, come ogni derby si meriterebbe di essere, invece quella sera finì in tragedia. L’ispettore capo lasciò la moglie e due figli, minorenni all’epoca dei fatti. La giustizia faticò non poco a mettersi in moto, ma alla fine fece il suo corso, arrivando alla condanna per Antonino Speziale, 14 anni poi ridotta a otto in Appello dal Tribunale di Catania, e per Daniele Natale Micale, condannato a undici anni. In precedenza a Raciti era stata conferita la Medaglia d’oro al valor civile (alla memoria) e gli erano stati intitolati due stadi: quello di Quarrata, in provincia di Pistoia, e quello di Siderno, in provincia di Reggio Calabria. L’accaduto sconvolse non poco l’intera nazione, tanto che si dispose l’interruzione di tuti i campionati di calcio in Italia e l’annullamento di un’amichevole della Nazionale. Cosa assolutamente non da poco in un Paese in cui si vive di calcio.
E proprio recentemente, poco meno di due mesi fa (il 15 dicembre 2020), dopo otto anni e otto mesi di reclusione per omicidio preterintenzionale dell’ispettore capo di polizia Filippo Raciti, è uscito dal carcere di Messina, per fine pena, Antonino Speziale. L’ultrà del Catania ha abbracciato il padre Roberto e fuori dal carcere i tifosi del Messina, lo hanno salutato con affetto. Il suo storico difensore, Giuseppe Lipera, lo ha sempre ritenuto innocente e aveva presentato delle richieste per anticipare la scarcerazione del suo assistito con la concessione degli arresti domiciliari per motivi di salute, ma le domande sono state rigettate.
Il Catania ha voluto ricordare quest’oggi l’ispettore scomparso 14 anni fa. “Oggi ricorre il quattordicesimo anniversario della tragica scomparsa dell’Ispettore Capo della Polizia di Stato Filippo Raciti: il Calcio Catania ricorda il luminoso esempio di dedizione al lavoro del valoroso tutore dell’ordine e il suo spirito di servizio, coraggiosamente e generosamente offerto alla comunità. Alla famiglia Raciti, un affettuoso pensiero”.
Negli anni a venire, la vedova Raciti, Marisa Grasso, si è spesa non poco per tutelare la memoria del marito e per far sì che il suo sacrificio venisse rispettato. “Il dolore è costante e si vive sempre nel quotidiano – ha spiegato in passato la vedova – ma in questi dieci anni con i miei figli abbiamo fatto un cammino costruttivo, siamo più sereni ed è meno pesante il ricordo del peso del sacrificio di mio marito. Affrontiamo tutto con tanto rispetto e tanta testimonianza affinché quello che è capitato non venga dimenticato e che non accada mai più”. L’ispettore quest’anno avrebbe compiuto cinquant’anni: “La sua vita purtroppo si è fermata a 40 e da lì – aggiunge la vedova – ha perso tanto soprattutto credo vedere crescere i propri figli. Ha perso tanto e non è giusto“. Marisa Grasso non vuole sentire parlare di perdono: “Il perdono è un dono ma non so se percorrerò questa strada. I due assassini non meritano il perdono e possono pregare Dio per ottenerlo, ma non da me“.
“In questi anni – conclude la donna – ci sono stati anche tante situazioni di amarezza e quindi mi hanno dimostrato che non c’è un atto di pentimento. Conosco la strada del perdono – ha concluso Marisa Grasso- e credo di essere una persona predisposta a concederlo ma, ribadisco, non credo lo meritino…”. Già, cosa è cambiato in dieci anni? Purtroppo non molto, per fortuna non si sono più verificati episodi del genere, ma la memoria dell’agente è stata più volte stuprata per la presenza negli stadi di striscioni recanti la scritta “Speziale libero”, apparsa anche sulla t-shirt di Genny a’ Carogna, famoso ultras del Napoli. Ancora più rumore fece, nel 2012, l’esultanza di Pietro Arcidiacono, attaccante catanese che indossava la maglia del Cosenza: dopo un gol contro il Sambiase, mostrò una t-shirt con la scritta “Speziale innocente”, gesto per il quale è stato condannato a tre anni di Daspo.
Anche negli stadi, però, i controlli appaiono piuttosto superficiali e i tifosi vengono spesso lasciati entrare senza particolari perquisizioni. In tante, troppe occasioni capita di vedere controlli non approfonditi, come accaduto, ad esempio, lo scorso anno al “Barbera” quando il Palermo affrontò la Lazio e i tifosi riuscirono a entrare nell’impianto con petardi e fumogeni, accesi e fatti esplodere durante la gara e causando per due volte l’interruzione del match. Per fortuna non successe niente di catastrofico, ma sarebbe potuto accadere. Il sacrificio di Raciti è avvenuto dieci anni fa, ma non per questo deve essere dimenticato, anzi. L’ispettore capo va commemorato com’è giusto che sia e ricordato anno dopo anno, giorno dopo giorno, affinché cose del genere non accadano più. Affinché l’Italia intera non si trovi, ancora una volta, a piangere uno dei suoi onesti figli.